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E’ necessario essere anziani per avere la demenza? LA DEMENZA FRONTO-TEMPORALE COMPORTAMENTALE



La demenza fronto-temporale (Fronto-Temporal Degeneration, FTD) è una condizione associata da degenerazione delle aree frontali e/o temporali dell’encefalo. Tale degenerazione, con il passare del tempo configura un vero e proprio quadro di demenza, che rispecchia le caratteristiche della regione cerebrale coinvolta.


La degenerazione fronto-temporale costituisce la terza causa (al primo posto ricordiamo la malattia di Alzheimer, della quale abbiamo parlato in occasione dell’apertura della rubrica “conoscere e capire le demenze”) più frequente di demenza neurodegenerativa (ovvero che comporta una progressiva degenerazione del tessuto cerebrale). Dagli esami neuroradiologici si osserva la presenza di atrofia del lobo frontale e/o del lobo temporale.


Caratteristica rilevante di tale condizione e che la differenzia da altre malattie neurodegenerative è l’età di insorgenza; l’esordio della FTD è, infatti, precoce e si attesta tra i 45 ed i 65 anni di età circa. Un altro fattore importante è la familiarità: sembra che circa il 30-40% dei pazienti abbia una familiarità per demenza, anche se solo nella minoranza dei casi (10%) sembra esserci una trasmissione genetica della patologia


Le principali varianti cliniche sono due:

· Variante frontale, caratterizzata da un netto declino del comportamento;

· Varianti linguistiche, caratterizzate prevalentemente e precocemente da difficoltà di linguaggio.

Oggi ci soffermeremo, nello specifico, sulla variante frontale, più comunemente chiamata “variante comportamentale”, che costituisce la forma più frequente della malattia, rappresentando il 55% circa dei casi totali e ha una durata di circa 9 anni.



Quali sono le alterazioni comportamentali che caratterizzano la malattia?


La demenza fronto-temporale variante comportamentale si configura come un quadro di deterioramento progressivo del comportamento accompagnato da un declino della condotta sociale, interpersonale con mancanza di consapevolezza. Le alterazioni del comportamento possono manifestarsi come apatia o come disinibizione:


- il paziente apatico apparirà depresso, privo di motivazione, molto silenzioso, sarà difficile stimolarlo e coinvolgerlo nelle varie situazioni quotidiane; risulta inoltre presente scarsa empatia e ridotto interesse per sé stessi e per gli altri (comprese le interazioni sociali);


- il paziente disinibito, al contrario, si mostra indaffarato, irrequieto, aggressivo, impulsivo, mostra comportamenti socialmente inappropriati in pubblico (es. fare commenti imbarazzanti in pubblico) e la disinibizione si può presentare sia sul versante verbale, che fisico e/o sessuale.


Alcune ulteriori caratteristiche tipiche della demenza fronto-temporale comportamentale possono essere:

- abbandono degli hobbies;

- scarsa cura e igiene personale;

- iperattività (più rara);

- iperoralità e iperalimentazione (assunzione di una condotta alimentare inadeguata e cambiamento delle preferenze alimentari, con una tendenza a prediligere dolci/carboidrati);

- ecolalia e comportamenti di utilizzazione;

- pattern verbali e comportamentali ripetitivi e ritualistici;

- comportamenti avventati e incuranti delle conseguenze (gioco d’azzardo, furto, condivisione impropria di informazioni personali).


È stato dimostrato come i pazienti con elevati livelli di istruzione tendano a sviluppare disinibizione e mancanza di autocontrollo in una fase più avanzata della malattia. Sembrerebbe che a sopperire la degenerazione cerebrale ci sia una sorta di “riserva comportamentale”, che permette al paziente di adottare solo più tardivamente i comportamenti inadeguati caratteristici della malattia.



Quali sono le manifestazioni cognitive associate alla malattia?

Dal punto di vista cognitivo le principali difficoltà riguardano l’attenzione e le funzioni esecutive, ovvero quel macro-cappello di abilità che, tra le molte, comprendono:

- pianificazione e organizzazione di attività e impegni (es. gli impegni di una giornata o le azioni necessarie per svolgere una specifica attività);

- capacità di risoluzione dei problemi, attraverso l’individuazione e l’attuazione della soluzione ritenuta più adeguata (problem solving);

- flessibilità cognitiva;

- capacità di selezionare risposte adeguate al contesto e di inibire risposte automatiche (inibizione).



Quali sono le funzioni cognitive risparmiate?

La memoria, il linguaggio e le abilità visuo-spaziali sono generalmente risparmiate, anche se possono subire gli effetti delle sopramenzionate difficoltà attentivo-esecutive.

Ad esempio, un paziente con difficoltà a mantenere l’attenzione su un compito e/o ad inibire pensieri interferenti, ci aspettiamo possa avere difficoltà a prestare attenzione ad una storia/ad un contenuto, di conseguenza ad una prova di rievocazione egli potrà presentare una prestazione deficitaria. Un’attenta analisi condotta dallo psicologo formato in neuropsicologia potrà permettere di differenziare, oltre che la tipologia delle difficoltà, anche la loro verosimile origine.



Come viene diagnosticata la malattia?

Date le caratteristiche cliniche della patologia e la sua età di insorgenza, spesso i familiari tendono, in fase iniziale, a sottovalutare i deficit o ad interpretare i cambiamenti di carattere del proprio caro come una “crisi di mezza età”. Per tale motivo troppo spesso il paziente giunge all’osservazione clinica in una fase ormai avanzata della malattia. Inoltre, proprio per la precoce presenza di sintomi neuropsichiatrici (e per la frequente assenza di un deterioramento cognitivo) spesso tale condizione va incontro ad una diagnosi errata e viene scambiata per un quadro psichiatrico “puro”, in particolare per depressione, disturbo bipolare e/o disturbo ossessivo-compulsivo. La maggior parte dei pazienti, infatti, riceve inizialmente un trattamento con farmaci antidepressivi e, solo in un secondo momento, si sospetta la presenza di una malattia organica neurodegenerativa.


Quali sono le difficoltà nella gestione di tali pazienti?

Le alterazioni comportamentali sono molto pesanti per i familiari e causano elevati livelli di distress nel caregiver (in misura maggiore rispetto a quanto lamentato dai familiari di pazienti con altre forme di demenza). Non riconoscere più il familiare come “quello di un tempo” e vederlo assumere comportamenti bizzarri e inadeguati costituisce spesso un elemento di forte frustrazione. Questo vissuto di malessere dei familiari è inoltre amplificato dalla giovane età del paziente: dato che quest’ultimo si trova spesso in un’età caratterizzata da numerosi progetti e aspettative che riguardano, ad esempio, la carriera professionale o il diventare nonni, ricevere questa diagnosi per i familiari può rappresentare un motivo di grande sconforto e diventa dunque difficile reagire senza un valido aiuto professionale.

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