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L’esame neuropsicologico e la sua importanza per la valutazione del quadro cognitivo della persona

Spesso l’anziano si trova a dover effettuare un esame neuropsicologico senza che nè lui nè i familiari e i caregiver abbiano bene in mente che cosa sia e a cosa serve. Cerchiamo quindi di capire quali sono le finalità di questa visita e perché essa sia così importante per il benessere della persona.


L’età anziana rappresenta un punto critico per la vita dell’individuo. Tale periodo infatti è caratterizzato da un declino non solo del funzionamento fisico ma anche di quello cognitivo. A differenza del declino fisico, quello cognitivo a volte può essere meno evidente, ma porta ugualmente a delle ripercussioni sulla qualità di vita e sul funzionamento quotidiano dell’anziano. Per favorire il benessere non solo della persona anziana ma anche dei familiari e dei caregiver, risulta estremamente importante effettuare un esame neuropsicologico (o valutazione neuropsicologica). “Ma in cosa consiste esattamente questo esame? E a cosa serve?”. Attraverso questo breve articolo cercheremo di spiegare l’importanza di uno screening cognitivo, nella speranza di riuscire a dissipare qualsiasi dubbio e di rimuoverlo dalla coltre di “mistero” e “pregiudizio” che spesso lo circonda.


Che cosa è e che cosa non è l’esame neuropsicologico (o valutazione neuropsicologica)

L’esame neuropsicologico consiste in uno o più colloqui di screening che hanno come finalità quella di valutare complessivamente le abilità cognitive della persona. Spesso questo esame può spaventare o creare ansia. L’utente infatti può viverlo come un esame scolastico a tutti gli effetti, dove il non essere preparato può portare ad un brutto voto. Altre persone invece lo intendono come una visita dove vengono somministrati dei test per capire se si è “stupidi” o “pazzi”. L’esame neuropsicologico non è niente di tutto ciò: non è un lavoro fatto “sul” paziente, ma è fatto “insieme” a lui. Attraverso la collaborazione e la somministrazione di semplici test diviene infatti possibile non solo stilare in modo globale un profilo di funzionamento cognitivo della persona, evidenziandone i punti di forza e quelli di fragilità, ma anche di proporre e predisporre un percorso clinico e preventivo che sia il più possibile “su misura” dell’utente. L’esame neuropsicologico è suddiviso principalmente in 3 fasi: raccolta anamnestica, valutazione cognitiva e infine restituzione.



Le fasi dell'esame neuropsicologico

Nella prima fase si effettua un colloquio con il paziente e i familiari/caregiver, con l’obiettivo di raccogliere più informazioni possibili circa la storia e il funzionamento cognitivo e comportamentale del paziente. Si andranno ad indagare quindi aspetti quali chi e perché richiede una valutazione, quali sono le principali problematiche attuali, il loro decorso e il loro impatto sulla vita dell’utente, il suo stile di vita ed infine anche la presenza in famiglia di patologie di rilievo. In questa fase si richiedono anche gli esiti di eventuali esami strumentali, quali TAC o Risonanza Magnetica, al fine di ottenere informazioni neurologiche dettagliate.


La seconda fase, che è quella più corposa, consiste nella somministrazione di specifici test cognitivi per valutare il funzionamento del paziente. Questa fase di screening generalmente viene effettuata in un incontro della durata di circa un’ora/un’ora e mezza, nel corso del quale si somministrano una serie di prove standardizzate per valutare il funzionamento cognitivo globale, le abilità di memoria, quelle attentive, quelle di linguaggio, l’autonomia nel quotidiano e le funzioni esecutive (capacità di astrazione, pianificazione, inibizione e flessibilità mentale). Si valuta anche il tono dell’umore, in quanto è noto che un umore deflesso influenzi negativamente il funzionamento cognitivo di una persona. Qualora si rendessero necessari degli approfondimenti, la durata della valutazione aumenterebbe e di conseguenza verrebbe suddivisa in due o più incontri, per evitare di affaticare troppo l’utente. Da questa fase si raccolgono non sono informazioni prettamente quantitative sul soggetto, ma anche informazioni qualitative attraverso l’osservazione e l’analisi dell’eloquio del paziente.


L’ultima fase prevede la restituzione al soggetto e ai familiari/caregiver. I punteggi ottenuti ai test vengono analizzati e confrontati con i valori normativi (ovvero i punteggi che le persone dello stesso sesso, della stessa età e con la stessa scolarità del paziente ottengono normalmente a ciascuna prova) e sulla base di ciò viene delineato un profilo di funzionamento cognitivo, che verrà presentato e descritto attraverso una breve e semplice relazione. Durante la restituzione, lo psicologo spiega in modo comprensibile quanto emerso dalla visita, evidenziando i punti di forza e di debolezza della persona, ed eventualmente avanza una possibile diagnosi (qualora i dati e le informazioni in suo possesso glielo consentano).


“Una volta effettuato l’esame, quindi, cosa occorre fare? Come si procede?”

Il post – esame neuropsicologico è importante tanto quanto l’esame stesso, se non di più. Infatti, sulla base di quanto emerso dalla visita e avendo tra le mani un quadro del funzionamento globale dell’anziano, è possibile valutare qual è il modo migliore per aiutare la persona e favorirne il benessere. Insieme allo psicologo quindi si vagliano le possibili soluzioni, che siano il più possibile costruite ‘’su misura’’ del paziente e delle sue caratteristiche e necessità. Se l’anziano ha dei lievi deficit, ma globalmente conserva una buona autonomia e un buon funzionamento quotidiano, si può pensare ad un inserimento in un gruppo di training cognitivo preventivo, in modo da tenere “allenate” tali funzioni e rallentarne il normale declino. Se invece dalla visita emergono dei deficit selettivi e/o più gravi, l’anziano può iniziare un percorso individuale o di gruppo in cui viene effettuato un training specifico per la specifica funzione cognitiva deficitaria (memoria, attenzione, linguaggio, funzioni esecutive), al fine di potenziare tale funzione, ridurne il deficit il più possibile e favorire l’autonomia ed il benessere dell’utente. In tutto ciò la figura dei familiari e dei caregiver non gioca un ruolo passivo, anzi. Anche loro possono prendere parte a gruppi di psicoeducazione, in cui viene implementata la loro conoscenze circa i deficit e le patologie che spesso si associano all’età anziana dei propri cari e vengono loro presentati i servizi territoriali ai quali possono accedere. In questo modo anche loro si trovano ad essere preparati sul modo in cui possono aiutare e gestire l’anziano, massimizzando le possibilità di supporto. Tutto ciò consente quindi di eseguire un lavoro di rete che comprenda anziano e familiari, così da poter promuovere il benessere a tutte le figure coinvolte.

Abbiamo quindi visto brevemente come l’esame neuropsicologico non sia nè qualcosa da temere nè da prendere sotto gamba; al contrario esso rappresenta un primo passo importante che l’anziano e i familiari/caregiver muovono nel percorso che li conduce ad una maggior conoscenza di sé e ad un livello di benessere cognitivo e psicologico il più possibile ottimale.

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