Lo stato psicologico può essere alla base della demenza? La PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA

La depressione e la demenza hanno un’elevata prevalenza nella popolazione anziana e sono spesso causa di disabilità; nell’anziano queste patologie possono coesistere (fino al 25% nei pazienti con più di 85 anni) ed esordire con sintomi sovrapponibili. Infatti la depressione nel paziente anziano si può manifestare con un deterioramento cognitivo così come la demenza può presentarsi inizialmente con sintomi depressivi. La diagnosi differenziale tra una depressione con compromissione cognitiva e una sintomatologia depressiva associata a demenza, soprattutto nelle prime fasi, risulta essere molto difficile e non esistono ancora criteri univoci e condivisi da tutti per effettuare questa distinzione.
In senso stretto possiamo definire pseudodemenza depressiva una sindrome che presenta deficit cognitivi causati da un disturbo depressivo, in assenza di correlazioni con lesioni cerebrali e che deve essere necessariamente reversibile. In generale, i sintomi cognitivi della pseudodemenza depressiva coinvolgono diverse sfere: quella della memoria (di lavoro o a lungo termine), le funzioni esecutive, il linguaggio, l’attenzione, la concentrazione e l’orientamento. Ad oggi non c’è un accordo rispetto alla definizione di pseudodemenza depressiva, alcuni sono addirittura contrari all’utilizzo di questo termine e sostengono che la maggior parte dei pazienti a cui viene diagnosticata svilupperanno in seguito forme di demenza vere e proprie; secondo questa visione infatti, quelli depressivi sarebbero di fatto i primi sintomi di una demenza o renderebbero evidenti deficit cognitivi ancora sottosoglia. Spesso, nella realtà clinica, quadri di demenza organica e sintomi cognitivi causati da uno stato depressivo non sono chiaramente distinguibili e possono addirittura coesistere, influenzandosi reciprocamente.
Demenza o pseudodemenza? Innanzitutto è molto importante provare a differenziare una pseudodemenza depressiva da altri tipi di demenza poiché, almeno inizialmente, può esserci una confusione diagnostica, che può portare ad un’errata prognosi e quindi ad una terapia inadeguata, innescando così un circolo vizioso che coinvolge gli specialisti, il malato e i suoi familiari. Nel caso della pseudodemenza depressiva l’obiettivo principale della terapia è quello di cercare di far rientrare la sintomatologia psicopatologica e cognitiva tramite un trattamento farmacologico antidepressivo e la riabilitazione; nelle forme neurodegenerative, al contrario, lo scopo della terapia e dell’assistenza è quello di provare a fare rallentare la progressione della malattia, cercando il più possibile di preservare la qualità di vita del paziente e della sua famiglia.
Si è provato ad individuare dei criteri per distinguere tra pseudodemenza depressiva e forme di demenza degenerativa confrontando, ad esempio, i dati forniti da esami strumentali o cercando di individuare dei biomarker (ovvero dei marcatori biologici tipici di una o dell’altra condizione clinica). Per differenziare la demenza dalla pseudodemenza depressiva sono anche stati proposti numerosi criteri clinici, utili per la loro facile applicazione ed economicità, soprattutto se affiancati ad una valutazione neuropsicologica approfondita del paziente per documentare la presenza del deterioramento cognitivo e per valutarne o meno la reversibilità in seguito a terapia con farmaci antidepressivi.
Ecco una tabella che chiarisce le principali differenze di cui tenere conto nella distinzione tra pseudodemenza depressiva e altri tipi di demenza.

È importante sottolineare ancora come depressione e deterioramento cognitivo siano strettamente correlati: infatti deficit cognitivi possono essere individuati nel 20% degli anziani depressi, secondo alcuni addirittura nel 70% dei casi. Ecco come depressione e demenza potrebbero costituire nell’anziano un continuum di possibili manifestazioni cliniche e, a questo proposito, stanno aumentando i dati che proverebbero un’evoluzione di molti casi di pseudodemenza depressiva verso una vera e propria demenza. Si è visto infatti, come tra il 30% e il 44% dei pazienti con deterioramento cognitivo presentasse sintomi depressivi, con alcune specificità: nei pazienti con diagnosi di malattia di Alzheimer la depressione in corso sarebbe stata predetta da sintomi depressivi precedenti alla demenza, mentre per le altre forme di demenza la gravità della depressione sarebbe stata influenzata dalla gravità dei sintomi demenziali.
A livello neuropsicologico potrebbe essere utilizzato un semplice test che analizza l’integrità della memoria incidentale semantica e che permetterebbe di aiutare nella discriminazione tra una pseudodemenza depressiva e una demenza vera e propria. Si è visto come le prestazioni a questo test, che misura la capacità di imparare involontariamente delle parole dopo che su di esse è stata indotta una elaborazione a livello semantico, risultino migliori per le persone affette da pseudodemenza depressiva (se confrontate con le sue prestazioni in compiti di memoria volontaria) e peggiori in quelle affette da demenza. Per spiegare come ciò sia possibile basta considerare il fatto che per portare a termine questo compito viene utilizzata la competenza semantica, conservata nell’individuo depresso, ma spesso alterata in chi ha un deficit reale di memoria conseguente a demenza.
Come si è visto, rimane comunque difficile discriminare tra una demenza in fase iniziale e una pseudodemenza o una depressione; esiste infatti una stretta relazione tra tono dell’umore e funzionamento cognitivo che non può essere trascurata, ai fini di dare un significato ai sintomi lamentati dalla persona.
4 ipotesi fisiopatologiche sul legame depressione-demenza
È noto come l’invecchiamento si accompagni ad un deterioramento cognitivo che, in una certa misura, può essere considerato fisiologico; questa involuzione, progressiva con l’età, è influenzata da numerosi fattori quali lo stato di salute generale, l’utilizzo di servizi sanitari, alcuni fattori ambientali e culturali, la qualità della vita (sulla quale la presenza di sintomi depressivi ha un impatto notevole) e la presenza di un’adeguata rete relazionale del soggetto.
L’associazione tra sintomi depressivi e cognitivi è comune nella popolazione anziana e sono state ipotizzate 4 diverse spiegazioni possibili: 1) potrebbero esistere fattori di rischio comuni che aumenterebbero il rischio di sviluppare sia demenza che depressione; 2) la presenza di depressione, anche in età giovanile, potrebbe essere una concausa della demenza; 3) la depressione potrebbe essere una reazione psicologica normale ma precoce rispetto al declino cognitivo; 4) la depressione potrebbe rappresentare un’avvisaglia di una demenza ancora sottosoglia.
Come appena visto, diverse ipotesi sono state chiamate in causa per spiegare i meccanismi con i quali, in generale, la depressione possa alterare il normale funzionamento delle capacità cognitive. Un’altra possibilità riguarda l’influenza del rallentamento psicomotorio e dello scarso livello motivazionale: il primo provocherebbe una minore capacità di elaborazione delle informazioni e quindi risultati peggiori ai test neuropsicologici; il secondo non permetterebbe al paziente di affrontare con costanza e decisione le difficoltà di esecuzione di compiti mentali complessi.
Un modo per distinguere il ruolo avuto dalla depressione nella comparsa di sintomi cognitivi è quello di considerare le tempistiche con cui si è presentata questa associazione: nel caso in cui i sintomi depressivi siano comparsi poco tempo prima rispetto a quelli cognitivi, è probabile che i primi rappresentino un fattore causale o una manifestazione precoce dei secondi; se invece i sintomi depressivi precedono di diversi anni i disturbi cognitivi verosimilmente ne costituiscono un fattore di rischio.
Come si è potuto comprendere dalle numerose spiegazioni e ipotesi legate alla pseudodemenza depressiva, per capire come inquadrare clinicamente un paziente è necessaria un’accurata raccolta di informazioni attraverso un’anamnesi completa, esami strumentali e test psicometrici; l’arrivare ad una diagnosi il più possibile precisa, e quindi ad impostare un trattamento adeguato, efficace e personalizzato, implica pertanto che vi sia una coordinazione e collaborazione tra diversi professionisti e tra diversi servizi.